Ministri e criminali nell’Italia di 40 anni fa
Esattamente quarant’anni fa, il 15 dicembre 1982, il grande giornalista modenese Arrigo Levi conduce una puntata di Radio Anch’io (storica trasmissione radiofonica della Rai, nata nel 1978 e a lungo curata da Gianni Bisiach) intitolata “Come si governa l’Italia”. Tra gli ospiti l’ex presidente del consiglio Giovanni Spadolini, primo non democristiano alla guida del governo, dove era giunto nel 1981 in seguito alle dimissioni del governo Forlani, caduto per lo scandalo P2. A maggio del 1982 Ciriaco De Mita aveva sostituito Flaminio Piccoli alla segreteria nazionale della Dc. Il 1° dicembre a Palazzo Chigi era tornato l’intramontabile Amintore Fanfani.
In quegli anni, nonostante i frequenti depistaggi, si iniziavano a intravedere le trame e gli intrecci – terroristi, crimine organizzato, poteri occulti e vertici dei servizi segreti italiani – che sarebbero emersi negli anni e decenni successivi. Il 28 luglio 1988 la sentenza-ordinanza del coraggioso giudice istruttore Carlo Alemi, per esempio, svelerà che proprio in quel burrascoso 1981 alcuni uomini politici di primo piano – che il congresso DC del 1980, quello che sconfessò la linea politica di Aldo Moro, aveva portato ai vertici del maggiore partito italiano – avevano sollecitato una inconfessabile trattativa con la Nuova Camorra Organizzata di Cutolo (allora detenuto nel carcere di Ascoli Piceno) e le Brigate Rosse del ‘professore’ forlivese Giovanni Senzani. Trattativa che – attraverso riunioni tra agenti segreti (civili e militari), carcerati ‘eccellenti’ e latitanti – porterà al pagamento di un riscatto e alla liberazione dell’assessore doroteo Ciro Cirillo, rapito dai brigatisti il 27 aprile 1981. Tre mesi dopo, appena rilasciato e recuperato da una pattuglia (l’ordine era accompagnarlo in questura o in ospedale, a seconda delle sue condizioni di salute), Cirillo era stato illegittimamente “risequestrato” dal dirigente della “squadra antiscippi” (sic!) Biagio Ciliberti, che lo accompagnò… a casa. Cosicché, prima di parlare con i magistrati, Cirillo aveva potuto concordare parole e silenzi con i vertici del suo partito e, probabilmente, con i “faccendieri” che si erano dati da fare per la liberazione dell’ostaggio.
Ecco un breve estratto dalla sentenza del giudice Alemi.
Alvaro Giardili (faccendiere legato a Pazienza che ottenne appalti del dopoterremoto, segnalato fin dal 1983 come uomo “ad alta pericolosità”, il suo nome è riapparso nelle cronache giudiziarie nel 2011, ndr) ha dichiarato che Francesco Pazienza gli aveva chiesto di essere presentato ad esponenti della camorra in quanto l’on. Piccoli, segretario all’epoca della Dc, gli aveva dato l’incarico di interessarsi per far sì che fosse salvata la vita di Cirillo (si noti ancora una volta: non per identificare il covo e liberare l’ostaggio manu militari) e che, in occasione dell’incontro da lui procurato tra Pazienza e Casillo (Vincenzo, braccio destro di Cutolo collegato ai ‘servizi’, ucciso con un’autobomba dopo aver gestito la trattativa, ndr), il primo chiarì che “parlava a nome dell’on. Piccoli e chiedeva un aiuto per salvare la vita di Cirillo”, all’esito dell’incontro impegnandosi a riferire il contenuto del colloquio all’on. Piccoli (che pertanto seguiva costantemente la trattativa).
(…) Gli on.li Scotti (Vincenzo, ministro delle politiche comunitarie, ndr), Piccoli, Gava (Antonio, ministro dei rapporti con il Parlamento, ndr) e Patriarca (Francesco, senatore doroteo, ndr) hanno sempre negato di aver aderito ad una “politica della trattativa”, assumendo di aver propugnato ed applicato la “linea della fermezza” in coerenza con la scelta – indubbiamente sofferta e dolorosa – fatta in occasione del sequestro dell’on. Moro. Sembra però al Giudicante che (…) – al di là della linea “ufficiale” – vi furono alcuni esponenti del partito che si attivarono in vario modo per ottenere la liberazione di Cirillo, anche ed in primis ricorrendo alla mediazione di Raffaele Cutolo ed accettando di trattare con le Br.
(…) Parimenti poco credibile è l’assunto dell’on. Piccoli, di non aver mai chiesto al Pazienza che risultati avessero avuto i suoi contatti con la camorra (…); in proposito l’on. Piccoli ha negato di aver ricevuto, dopo detto incontro, una telefonata da Pazienza che gli relazionava sull’esito dello stesso. Tale telefonata è stata riferita dal Pazienza e dal Giardili e confermata da Casillo, Iacolare (Corrado, altro fedelissimo di Cutolo) e Marrazzo (Giuseppe, giornalista del Tg2 che indagò sul sequestro) e del resto non è logicamente ipotizzabile che – in un periodo in cui il Pazienza incontrava a casa sua l’on. Piccoli con frequenza notevole (come ha riferito lo stesso Pazienza ed ha confermato il di lui autista Visigalli) – dopo aver incontrato Casillo e Nuzzo ad Acerra, nulla il Pazienza abbia riferito all’on. Piccoli (…).
Per quanto concerne l’affermazione dell’on. Scotti e dell’on. Patriarca (circa le riunioni di partito aventi ad oggetto il sequestro Cirillo) basta ricordare quanto affermato da un loro stesso collega di partito, l’on. Baldassarre Armato, secondo cui “all’epoca vi era una serie continua di riunioni per discutere della questione Cirillo, al punto che si era quasi in seduta permanente”.
(…) L’interessamento personale degli on.li Gava, Scotti, Patriarca e Piccoli è stato confermato inoltre dalle dichiarazioni rese da Mario Incarnato (…); Pasquale Scotti (…); Salvatore Imperatrice (che non è stato possibile escutere ulteriormente in quanto prematuramente suicidatosi); Salvatore Federico, Oreste Lettieri (il quale ha riferito anche di un pranzo in un ristorante romano di Casillo e Iacolare con l’on. Piccoli, circostanza questa già riferita anche da Imperatrice, in ordine alla quale non sono emerse ulteriori conferme); il giornalista Vittorio Buffa (…); Raffaele Porzio riferisce confidenze fattegli da Elio Vaiano, elemento di rispetto della Nco (Nuova camorra organizzata, ndr), molto vicino a Rosetta Cutolo (sorella maggiore di Raffaele, ndr); Marco Medda (che parla però di “personaggi” ai vertici della Dc nazionale, dei quali non fa i nomi); Claudio Sicilia, che riferisce le confidenze fattegli da Giuliano Granata (segretario di Cirillo, sindaco di Giugliano, fedelissimo di Antonio Gava, ndr); Emilio Manna (brigatista pentito, della colonna napoletana, il quale seppe che Cutolo fungeva da intermediario tra le Br e la Democrazia cristiana); Giovanni Pandico (…) e lo stesso Raffaele Cutolo (…): «Uno o due giorni dopo il sequestro Cirillo, verso sera, intorno alle ore 21, venne uno dei sottufficiali, credo il mar. Guarracino (Francesco, allora maresciallo nel carcere di Ascoli Piceno, ndr), il quale mi disse che dovevo seguirlo dal direttore. Pensando che fosse stato deciso il mio trasferimento, invitai Marco Medda (strangolato nel 2008 a Milano, ndr) a preparare le mie cose. Giunto nell’ufficio del direttore, trovai una persona che disse di chiamarsi Luigi Acanfora e che si stava interessando per il rilascio di Cirillo. (…) A tal punto Acanfora mi disse il suo vero nome, che appresi poi anche dai giornali essere Criscuolo (Giorgio, funzionario del Sisde, l’allora servizio segreto civile, ndr). Acanfora mi disse che per il rilascio di Cirillo si interessavano i “pezzi grossi” della Democrazia Cristiana. Alla fine dissi che, se ciò era vero, avevo bisogno di parlare con qualcuno di questi politici per avere conferma del loro interessamento e contemporaneamente avevo bisogni di incontrare qualche uomo di mia fiducia, in particolare Enzo Casillo. Tornai quindi in cella e raccontai tutto a Medda, che mettevo al corrente di tutte le mie faccende. Dopo un paio di giorni, forse anche il giorno dopo, fui nuovamente chiamato nell’ufficio del direttore dove trovai Acanfora (alias Criscuolo, ndr) con un altro uomo, Casillo e Giuliano Granata».
